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Depistaggio Via D'Amelio, l'avvocato dei Borsellino attacca i pm Palma, Petralia e Di Matteo

La strage di via D'Amelio

«Mi rendo conto che è un’affermazione forte e dolorosa ma per quanto riguarda la dottoressa Palma e Petralia, come indagati di reato connesso, e il dottor Di Matteo, noi diciamo che “per quanto loro si possano credere assolti, riteniamo che siano lo stesso per sempre coinvolti”, e lo dimostrerò nel corso della mia arringa». Lo ha affermato l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo sul depistaggio delle indagini della strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta.

Nel processo attuale sono indagati tre poliziotti ex appartenenti al gruppo «Falcone-Borsellino» della squadra mobile di Palermo costituito per far luce sulle stragi. Secondo l’accusa i tre avrebbero costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino, mediante minacce e pressioni, a rendere false dichiarazioni per depistare le indagini.

Il riferimento di Trizzino è all’indagine della Procura di Messina per concorso in calunnia nei confronti dei giudici Annamaria Palma e Carmelo Petralia, sempre in merito alla gestione di Scarantino. Indagine che è stata archiviata. Antonino Di Matteo invece si era occupato della prima inchiesta sulla strage Borsellino. I versi usati dall'avvocato sono quelli di Canzone del maggio di Fabrizio De Andrè.

«Non può esistere il diritto penale del privilegio e su questo ci opporremo fino alla fine», ha proseguito l’avvocato Trizzino in merito all’archiviazione dell’inchiesta. «Si sono spaventati? Avevano paura di buttare giù tutto quell'edificio costruito - ha detto il legale sui due magistrati -? Non voglio essere lapidario, sto cercando di comprendere quello che è successo, ma davanti a certe storture giuridiche non posso stare zitto. Le mie parti civili devono leccarsi le ferite non solo per la strage di via D’Amelio ma anche per il processo sul depistaggio. Chiedete scusa. Quel depistaggio si poteva fermare».

Trizzino ha provato a ricostruire i fatti. «Avevamo una procura dilaniata sull'attendibilità di Scarantino e alla fine - ha detto - sono stati i pm i sostenitori della sua attendibilità. E questo è inquietante». Nell’aula da una parte era seduto il figlio di Paolo Borsellino, Manfredi, commissario della polizia di Stato, e dall’altra i tre imputati del processo, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, anche loro poliziotti. Rivolgendosi all’imputato Mario Bo, l'avvocato ha aggiunto: «Quando ho letto certe carte che la riguardano mi è venuto in mente un film, Un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Il protagonista interpretato da Gianmaria Volontè fa di tutto per nascondere le tracce di ciò che ha fatto. E tutti dicevano "ma non può essere lui". C'era questa pervicacia nel prendere in giro le istituzioni, i pubblici ministeri, che loro sapevano essere superficiali».

L'avvocato parla anche degli altri due poliziotti. «Mi si dice che la posizione di Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo è marginale. Però voi non eravate persone qualsiasi, eravate agenti di polizia giudiziaria e se vi dicono di interrompere le intercettazioni non lo potete fare. State commettendo reato. Non dovevate accettare», ha affermato Trizzino. «A me dispiace veramente che alla fine dovete pagare voi - ha detto, sempre rivolgendosi ai due imputati - ma avete un atteggiamento sovrapponibile a certi modi di fare di Cosa Nostra. Dite la verità. È un appello che vi faccio. Diteci cosa è successo». Poi il legale ha aggiunto: «Io penso che il danno che hanno fatto è devastante per tutta la collettività. Paolo Borsellino - ha continuato Trizzino - ci ha insegnato ad avere sempre e comunque fiducia nelle istituzioni. Sono gli uomini che sbagliano. Gli odierni imputati meritano un giudizio di severità assoluta anche sul piano morale. Perché la possibilità che possano ingenerare nelle nuove generazioni quel nichilismo istituzionale è evidente».

 

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