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Al processo Montante spunta la storia della guerra al torronificio rivale di Caltanissetta

In aula parla come teste e parte civile Giuliana Geraci, amministratrice di un'azienda che sarebbe stata controllata in continuazione: «Una volta venne il servizio antifrode, insistevano per avere una ricetta, dicendo che eravamo obbligati a renderla pubblica»

Il torronificio Geraci di Caltanissetta

«Non conosco di persona Antonello Montante ma lui era un cliente del nostro torronificio, quando c’era ancora mio padre. Veniva ad acquistare da noi». Comincia così la deposizione di Giuliana Geraci, dal 2008 legale rappresentante del torronificio Geraci Snc di Caltanissetta (nella foto). L’imprenditrice è stata sentita oggi (20 novembre) a Caltanissetta come teste e parte civile nel corso dell’udienza del maxi processo sul «Sistema Montante».

«Il nostro torronificio - racconta - esiste dal 1870, era intestato al mio bisnonno. Io e mia sorella siamo socie e proprietarie. I rapporti tra Antonello Montante e mio padre erano da cliente a fornitore, poi ci fu una lite aspra, di cui però non conosco il motivo, e i rapporti si interruppero. Quello che so è che ci fu un problema di pagamenti finito con un assegno strappato o gettato in faccia».

Da quel momento, continua la signora Geraci, la vita per la sua azienda non fu più la stessa. «Al torronificio iniziarono diversi controlli da parte dell’Asp e dei Nas. Poi abbiamo avuto dei controlli particolari sui materiali che venivano a contatto con gli alimenti. Vennero anche tre persone del servizio antifrode che per una mattinata hanno insistito perché volevano la ricetta del torrone, questo avvenne in un periodo tra il 2013 e il 2015. Ci dissero che avevamo obbligo di fare un ricettario e metterlo sul computer e che sarebbero tornati dopo una settimana a verificare, ma non sono mai tornati. La ricetta non l’ho mai data. Da quando abbiamo costituito la Snc abbiamo sempre avuto i controlli».

Episodi che si ripetono negli anni. «Fino alla morte di mio padre, nel 2008, i controlli c’erano, ma con una frequenza normale, una volta all’anno, poi - ricorda Giuliana Geraci - cominciarono a verificarsi una volta al mese. Siamo un’azienda alimentare, il fatto che ci siano i controlli è normale, ma qualcuno non sembrava obiettivo o sereno. Un giorno i carabinieri ci hanno fatto un verbale perché i muri non erano perfettamente intonacati. Normalmente quando ci sono pareti non intonacate, non ti fanno la multa subito, ti danno 60 giorni per provvedere e poi eventualmente viene fatta la multa. In quella occasione ero con mio cugino Luca Luzio e gli avevamo chiesto chi ci avesse segnalati e ci dissero che era un’azienda concorrente», ha detto.

In effetti, a Caltanissetta, prosegue l’imprenditrice, negli anni duemila nasce un altro stabilimento per la produzione del torrone. «L’antico torronificio nisseno - dice al processo - si è costituito nel 2006. Ci arrivò un opuscolo su questo nuovo torronificio dove era contenuta una citazione di Camilleri. Mio padre capì che il nuovo torronificio era di proprietà di Montante perché ne faceva parte colui che veniva a ritirare i torroni quando ancora Montante era un nostro cliente». Ma c’è dell’altro. «Uscì un bando della Regione Siciliana - ricostruisce la teste - per partecipare come sponsor all’Expo. Fummo ammessi ma una serie di difficoltà di partecipazione ci hanno fatto desistere. L’antico torronificio nisseno partecipò all’Expo su invito della Camera di Commercio. Poi ci fu un evento - continua Giuliana Geraci - all’hotel San Michele organizzato dall’assessorato alle Attività Produttive per dare possibilità alle aziende dell’agroalimentare di incontrare dei buyers. Questo evento prevedeva una selezione di 30 aziende che avrebbero avuto una serie di benefici. Una settimana dopo ci è stato comunicato che non eravamo stati ammessi tra le 30 aziende selezionate. E in quell’occasione chiesi i criteri di selezione, ma non ho mai ricevuto risposte».

Geraci racconta anche che due dipendenti del suo torronificio andarono a lavorare nel nuovo torronificio che secondo la teste sarebbe stato di proprietà dell’ex leader di Confindustria Antonello Montante. «Davide Scancarello - spiega Geraci - era un nostro dipendente che poi se ne andò all’antico torronificio nisseno e poi aprì un proprio torronificio, “Tentazioni e Sapori”. Qualche tempo dopo mi disse che mi voleva incontrare e mi disse che era dispiaciuto per quanto successo e che si era fatto abbindolare da Montante. Mi disse che avrebbe voluto riprendere a lavorare da noi, però per me era fuori discussione e non mi interessava più. Scancarello appariva molto spaventato, disse che aveva paura di parlare al telefono e che Montante “aveva braccia ovunque”. Quanto a Davide Marchese, è stato un nostro dipendente dai primi del ’90 al 2017. C’è stato un periodo tra il 2004 e il 2005, in cui dalla seconda delle nostre porte, che è l’ingresso dei dipendenti, mio padre aveva visto delle persone appostate. Davide Marchese gli disse che quelli erano due poliziotti che stavano cercando di convincerli ad andare a lavorare nel nuovo torronificio che si sarebbe costituito, che li avrebbero pagati di più e che per loro sarebbe stato più vantaggioso. Ad un certo punto, nel 2006, Scancarello si licenzia - ha continuato la teste - dicendo che andava a lavorare con il padre che avrebbe aperto un negozio di elettrodomestici, e invece poi, quando aprì l’antico torronificio nisseno, andò a lavorare lì. Poi divenne amministratore, non ricordo se da subito o dall’anno successivo».

Giuliana Geraci riferisce un episodio a suo dire inquietante di quel periodo: «Una mattina sono arrivata in negozio e la porta di ingresso era aperta. Senza nemmeno entrare, chiamo la polizia. Non c’era nessuno dentro e non avevano preso nulla. Il poliziotto della scientifica mi disse che probabilmente era stato un tossicodipendente, ma non furono neanche toccate le bottiglie, nulla».

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