Alessandra Matteuzzi aveva anche denunciato di essere controllata costantemente sui social dal compagno. Oltre alle richieste continue di inviargli foto e video per dimostrare dove si trovava, la donna uccisa a Bologna da Giovanni Padovani - il calciatore in forza alla Sancataldese - aveva riferito ai carabinieri, nella querela sporta il 29 luglio, di aver scoperto, a febbraio, che le password dei suoi profili erano state tutte modificate.
«Ho potuto constatare - raccontava - che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani». Inoltre «ho rilevato anche che il mio profilo Whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono».
«Il nostro rapporto - aveva raccontato nella denuncia - si basava sempre sull'invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell’auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata».
Alessandra lo raccontava a fine luglio ai carabinieri, descrivendo la sua relazione con Giovanni Padovani, il 26enne che poi la sera del 23 agosto l’ha assassinata a Bologna.
Nei confronti dell’uomo non erano state disposte misure cautelari. Nella denuncia Matteuzzi ha riferito dei controlli a cui era sottoposta, delle volte in cui lui si è presentato sotto casa. A parte una volta, in Sicilia, in cui l’aveva spintonata facendola cadere su un letto, non c'erano state mai aggressioni fisiche. Anche a metà luglio, quando i due avevano avuto un riavvicinamento dopo un periodo di crisi: tra il 14 e il 22, metteva a verbale la vittima «è stato più volte aggressivo nei miei confronti, non ha mai usato violenza fisica, sfogando la sua rabbia, sempre dovuta alla gelosia, con pugni sulla porta».
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